Chi Siamo photo_2023-01-18_18-18-38 (3).jpg Nell’universo carcerario “chiusi fuori” è l’appellativo che viene ironicamente dato a coloro che escono dall’istituto penitenziario, per aver scontato la pena detentiva o perché hanno avuto accesso alle cosiddette misure alternative al regime di detenzione in carcere. “Chiusi fuori” rappresenta il sentimento e la percezione di sé che hanno coloro che escono dal carcere, rispetto a consuetudini e relazioni sociali che vengono improvvisamente a mancare e ad un vecchio mondo che spesso si ripresenta come impermeabile, inaccessibile o estraneo. Ma soprattutto “chiusi fuori” definisce in modo esemplare l’atteggiamento di chiusura mentale di coloro che non hanno mai avuto niente a che fare con il carcere e preferiscono ignorare o rimuovere il problema, ritenendo che non li riguardi. L’Associazione CHIUSI FUORI nasce quindi dall’incontro e dal confronto tra diverse esperienze di vita, sensibilità e punti di vista: detenuti, ex detenuti (o in regime di misure alternative) e tutte le persone che comprendono che la possibilità di un reinserimento sociale è l’unico sbocco possibile che dia significato e senso alla detenzione come strumento di prevenzione del crimine. La nostra storia CHIUSI FUORI nasce nel 2012 dall’incontro tra l’attuale presidente Gianfranco Marcelli e il suo avvocato difensore Chiara Rizzo. Durate i colloqui avvenuti quando Marcelli si trovava in carcere era emersa da parte di entrambi la volontà di promuovere un cambiamento delle condizioni degli ex detenuti, di creare un luogo che permettesse a questi di reinserirsi in società e ricostruire quell’identità personale che il carcere tende ad annullare o quanto meno ad appiattire. Una volta ritornato in libertà Marcelli, con l’aiuto dell’avvocato Rizzo, di altri ex detenuti ed alcuni volontari, ha raccolto il capitale e fondato l’Associazione. Oggi CHIUSI FUORI conta centinaia di associati e sostenitori e intreccia frequenti collaborazioni con le principali istituzioni cittadine. La nostra missione “La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna” Victor Hugo Noi di Chiusi Fuori vogliamo eliminare le sbarre invisibili che la società continua a creare attorno agli esseri umani che hanno già pagato i loro debiti con la giustizia. Lo facciamo attraverso il perseguimento di questi obiettivi: impegnarsi concretamente per favorire l’integrazione sociale e l’accesso al mondo del lavoro di tutti coloro che sono fuoriusciti dal regime carcerario, in via definitiva o per effetto di misure alternative e dei loro familiari; condurre pubblicamente una forte iniziativa politica e culturale sul significato della detenzione come misura di repressione e prevenzione del crimine e di rieducazione degli individui nella società contemporanea e sul valore che il lavoro, sia dentro al carcere che fuori, assume al fine di favorire il reinserimento sociale e di scongiurare possibili recidive; denunciare le condizioni in cui versano le istituzioni penitenziarie del nostro Paese. Le nostre convenzioni col Tribunale di Bologna Messa Alla Prova Visualizza Lavori di Pubblica Utilità Visualizza Lavori di Pubblica Utilità sostitutivo Visualizza Di cosa si occupa CHIUSI FUORI? L’associazione si impegna concretamente per favorire l’integrazione sociale e l’accesso al mondo del lavoro di tutti coloro che sono fuoriusciti dal regime carcerario, in via definitiva o per effetto di misure alternative. In particolare, le attività svolte sono mirate a: condurre pubblicamente una forte iniziativa politica e culturale sul significato della detenzione come misura di repressione e prevenzione del crimine e di rieducazione degli individui nella società contemporanea e sul valore che il lavoro assume, sia dentro al carcere che fuori, al fine di favorire il reinserimento sociale e di scongiurare possibili recidive; denunciare le condizioni in cui versano le istituzioni penitenziarie del nostro paese; favorire il reinserimento sociale del detenuto o ex detenuto attraverso iniziative di avviamento al lavoro e ricostruzione del tessuto relazionale; ci prendiamo cura del territorio e del Giardino di San Leonardo, lavoriamo per il miglioramento della qualità della vita dei residenti del quartiere e della convivenza tra le persone promuovendone la reciproca conoscenza attraverso progetti, iniziative, attività sviluppati in collaborazione con il Comune di Bologna/Quartire Santo Stefano La Ciclofficina La nostra ciclofficina si trova in Via San Leonardo 4 e si occupa del restauro di vecchie biciclette che ci vengono fornite dal Comune di Bologna e di servizi di riparazione a buon mercato. Passate a trovarci dal Lunedì al Venerdì dalle 9 alle 18 e il Sabato dalle 9 alle 12 per trovare la bici che fa al caso vostro. Qui sotto inoltre trovate il link alla pagina Facebook della ciclofficina per rimanere sempre aggiornati. il giardino Il segreto non è correre dietro alle farfalle. È curare il giardino perché esse vengano da te. (Mário Quintana) Se gli alberi e i fiori potessero raccontare le storie di cui sono stati testimoni, il giardino di San Leonardo sarebbe sicuramente uno dei luoghi più interessanti dove sedersi ad ascoltare. Le grandi sofore potrebbero dare ripetizioni di economia e diritto internazionale, sono preparate, hanno ascoltato per anni gli studenti della vicinissima Johns Hopkins University. Le querce avrebbero una memoria più antica, ricorderebbero ancora le preghiere delle suore dell’Istituto delle Scienze Religiose (un tempo convento) che curavano il giardino e ci tenevano molto a quel fazzoletto verde, era il loro cimitero. I pioppi neri invece avrebbero racconti più duri, spaccio, scontri tra pusher, lamenti di anime inquiete che cercano la pace, mentre i cespugli di rose canterebbero le storie d’amore sbocciate su una panchina del parco. I cedri dell’Himalaya forse parlerebbero arabo, o hindi, e racconterebbero di paesi lontani, nostalgia e speranza. L’associazione CHIUSI FUORI, che si prende cura del verde del giardino San Leonardo garantendo pulizia e ordine, vuole davvero dar voce al giardino attraverso incontri letterari, sfide artistiche, giornate dedicate alla prevenzione e altri momenti di ritrovo, per ricordarci che tra le pieghe verdi della città torniamo ad essere un po’ più umani. i LABORATORI Crediamo fermamente che attraverso esperienze condivise ogni persona possa crescere come individuo. I laboratori sono momenti di incontro e condivisione attraverso i quali ognuno di noi apprende dall'altro un pezzetto di vita, rendendo la propria più completa. photo_2023-01-18_18-18-37_edited_edited. SARTORIA SOCIALE PASTICCERIA photo_2023-01-18_18-18-38_edited_edited. photo_2023-01-18_18-18-38 (3).jpg DISEGNARE PERCHE DEGRADO URBANO E CRIMINALITA’ E’ noto come il progressivo incremento di manifestazioni di disordine fisico, ovvero la presenza costante di oggetti che evocano degrado e negligenza (cd. incivilities), come ad esempio l’immondizia per strada, nello spazio urbano, possa ridurre il senso di soddisfazione degli individui verso il proprio quartiere e acuire la percezione di insicurezza e la paura del crimine, questi effetti colpiscono non solo i cittadini residenti in quella zona, ma anche i lavoratori, turisti, studenti e quindi la popolazione in senso più ampio che, a vario titolo, usufruisce degli spazi cittadini. Nel 1982 la Teoria dei Vetri Rotti (Broken Windows Theory) elaborata da Wilson e Kelling ipotizza un rapporto di causazione fra degrado urbano e criminalità: atti di inciviltà, di vandalismo o anche solo immorali che minacciano i valori tradizionali di un dato territorio, se non puniti, possono nel lungo periodo portare a forme ben più gravi di criminalità come conseguenza del senso di abbandono e di assenza di controllo formale ed informale percepito dai soggetti che in quel territorio vivono. Anche la normativa si esprime in merito alla necessità di coinvolgere attivamente la cittadinanza nell’ambito delle politiche di sicurezza urbana. Riprendendo il coinvolgimento dei cittadini già richiamato dalla legge 94/1999, il decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, convertito in legge 18 aprile 2017, n. 48, all’art. 5 specifica che prevenzione della criminalità e tutela del decoro urbano, obiettivi primari dei patti per la sicurezza urbana sottoscritti tra il Prefetto ed il Sindaco, devono essere perseguiti avvalendosi anche dell’ausilio di reti di volontari, enti ed associazioni operanti nel privato sociale. In questo contesto il coinvolgimento attivo della cittadinanza nel contrasto di fenomeni di degrado e di inciviltà apporta un duplice beneficio: da una parte costituisce uno strumento fondamentale nell’ambito delle politiche di prevenzione comunitaria della criminalità, dall’altra rinforza il capitale sociale di un certo territorio, incentivando i legami fiduciari e di collaborazione e la coesione fra i cittadini, oltre che il rapporto di questi ultimi con le istituzioni. Favorire e consolidare i legami fiduciari e di collaborazione, rafforzando in particolare il senso di appartenenza, può demotivare l’individuo dall’agire in maniera non conforme, inducendolo ad adottare un comportamento socialmente accettabile ed invogliando un agire proattivo e partecipe ai processi che regolano la sicurezza sul territorio. I cittadini non sono più quindi da intendersi come destinatari passivi del bene sicurezza ma soggetti attivi che, per poterne fruire, devono collaborare con le istituzioni e modellare i propri comportamenti anche per minimizzare i rischi. Sulla base di queste premesse si ritiene fondamentale proporre progetti e attività di tipo educativo, sociale e culturale quali strumenti di integrazione. Le attività di seguito proposte, che cercano di intervenire in ciascuno dei tre ambiti nei quali si articola il presente progetto, possono stimolare solidarietà e aiuto reciproco, andando a sopperire e a compensare quella percezione di isolamento e solitudine ingenerata da un ambiente urbano spesso colpito da degrado e incivilities. SOVRAFFOLLAMENTO: UNA CARATTERISTICA STRUTTURALE DEGLI ISTITUTI PENITENZIARI “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Così recita l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Già nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per la violazione dell’articolo menzionato. La sentenza sul caso Torreggiani fa luce sulle condizioni di detenzione subite da sette detenuti nelle carceri di Busto Arstizio e di Piacenza, esprimendosi così sul carattere ormai cronico e strutturale del sovraffollamento come caratterizzante la realtà di buona parte delle carceri italiane. Un problema, quello del sovraffollamento carcerario, al quale secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, deve essere combattuto ricorrendo il più possibile “alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione”. Nel periodo di marzo/aprile del 2022 il Cpt, l'organo anti tortura del Consiglio d'Europa ha esaminato le condizioni detentive in quattro istituti penitenziari. Nel rapporto la Delegazione segnala un nuovo incremento della popolazione carceraria in seguito alla pandemia e afferma come la problematica del sovraffollamento debba essere affrontata per mezzo di “una strategia coerente più ampia, che copra sia l'ammissione in carcere che il rilascio, per assicurare che la detenzione sia veramente la misura di ultima istanza”. E’ altresì necessario lavorare per garantire forniture adeguate e ambienti salubri all’interno delle carceri: fra le problematiche evidenziate vi sono finestre che non garantiscono il giusto riparo, radiatori non funzionanti, muffa nelle docce, assenza/scarsità di acqua calda. Secondo quanto reso noto dal rapporto dell’associazione Antigone infatti, quasi un terzo (31%) degli 85 istituti penitenziari visitati presenta gravi criticità in termini di spazio, con celle di non più di 3mq calpestabili per persona, altre prive di doccia o di adeguati ricambi d’aria. Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione, rende noto come, a fronte di 51.000 posti regolamentari, i detenuti siano quasi 57.000. Il sovraffollamento carcerario quindi rimane una caratteristica strutturale delle carceri italiane rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. Per quanto riguarda, in particolare, il nostro territorio, secondo quanto reso noto dalla “Relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna Anni 2018-2020”, la regione, “a fronte di meno di 3.000 posti regolamentari disponibili, registra circa 3.140 detenuti presenti, con un conseguente indice di sovraffollamento pari a 104,9, dunque appena inferiore a quello medio nazionale”. La Fp Ggil denuncia una situazione allarmante alla Dozza di Bologna dove il sovraffollamento, anche femminile, sta portando al collasso i servizi, compresi quelli infermieristici. Il reparto che registra maggiori criticità è infatti proprio quello dell'infermeria, destinato ad accogliere non solo le persone detenute con patologie, ma anche un buon numero di detenuti che sempre più spesso agisce con gravi atti di auto-lesionismo, oltre che i nuovi arrivati. Il 22 gennaio 2023 alla Dozza si contano ben 300 detenuti in più rispetto alla capienza massima prevista di circa 500 detenuti, a ciò si aggiunga il fatto che un’intera sezione detentiva non è utilizzabile in quanto in fase di ristrutturazione. L'affollamento grava su ogni spazio del carcere, compreso il reparto femminile, dove sono attualmente recluse 83 donne, una delle quali con due figli minori. Anche nel carcere minorile del Pratello si è passati da 22 a 40 minori, a questo incremento inoltre non ha fatto seguito un incremento dell'organico, in particolare del personale educativo. Sono notevoli anche le problematiche strutturali degli istituti di detenzione: oltre a spazi estremamente ristretti, si riscontrano forti infiltrazioni e malfunzionamenti agli impianti di riscaldamento, come nel carcere di Parma. Le conseguenze del sovraffollamento carcerario sono molteplici e possono avere gravi ripercussioni sulla salute fisica e mentale dei detenuti. Ad esempio, i detenuti che vivono in celle sovraffollate sono più a rischio di contrarre malattie infettive, come il COVID-19, e di subire violenze e abusi da parte degli altri detenuti. Il sovraffollamento carcerario e le condizioni in cui versano le carceri italiane non possono che incidere negativamente nel percorso di rieducazione e reintegrazione nella società, occorrono quindi interventi urgenti di riqualificazione degli istituti che garantiscano la tutela della dignità e dei diritti del detenuto, oltre che concreti progetti rieducativi finalizzati al reinserimento in società. RIFERIMENTI NORMATIVI IN MATERIA DI REINSERIMENTO SOCIALE Art. 27. La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte ((. . .)). Disposizioni nazionali La prima disposizione che deve essere menzionata è la Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. L’articolo 1 comma 2 della citata norma dispone che “Il trattamento tende, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati”. In particolare, l’articolo 13 “Individualizzazione del trattamento”, disciplina la necessità di un trattamento penitenziario che sia rispettoso della personalità dell’individuo, teso quindi a rispecchiare i tratti peculiari che definiscono l’unicità della persona, valorizzandone attitudini e competenze utili ai fini del reinserimento sociale. In un’ottica di prevenzione sociale e al fine di garantire un programma di reinserimento efficace, la norma in esame riflette sull’importanza di comprendere e agire sulle cause che hanno condotto al reato e, quindi, sull’osservazione della personalità di condannati e internati, al fine di coglierne eventuali lacune psicofisiche. Istruzione, formazione professionale, lavoro, partecipazione a progetti di pubblica utilità, così come il coinvolgimento in attività sportive e ricreative e il potenziamento della dimensione socializzante sono elementi costitutivi del trattamento, così come disposto dall’articolo 15. La norma in esame non si esprime solo sulla necessità di appoggiare e incoraggiare il coinvolgimento degli internati nel mondo del lavoro ma, all’articolo 17, evoca la partecipazione della stessa comunità esterna all’azione rieducativa, in quanto “La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa”. In tale contesto l’articolo 20-ter statuisce come detenuti e internati possano chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell'ambito di progetti di pubblica utilità, sempre nel rispetto delle rispettive competenze e abilità, “in attività da svolgersi a favore di amministrazioni dello Stato, regioni, province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, aziende sanitarie locali, enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato […]”. Il Decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 124, Riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, al Capo II - Disposizioni in tema di lavoro penitenziario, introduce all’art.2 l’art. 20-ter (Lavoro di pubblica utilità), il quel dispone che «1. I detenuti e gli internati possono chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell'ambito di progetti di pubblica utilità, tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative”. I progetti possono essere svolti presso enti istituzionali locali o nell’ambito del settore del volontariato e la partecipazione agli stessi non deve compromettere il tempo necessario alla sfera professionale, familiare e sanitaria del singolo individuo. La possibilità di svolgere tali attività all’esterno dell’istituto penitenziario rimane tuttavia preclusa alle persone condannate per il reato di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis del codice penale. Anche a livello di comunità internazionale, con la Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, si evoca la necessità di una collaborazione fra servizi sociali, territoriali e della stessa società civile e l’universo carcerario. L’istituto dei lavori di pubblica utilità (LPU) I lavori di pubblica utilità sono disciplinati dal Decreto legislativo 28/08/2000, n. 274, ove, all’art. 54, si dispone che come gli stessi debbano essere applicati su diretta richiesta dell’imputato, il quale dovrà attivarsi in autonomia per individuare una struttura disponibile. I lavori consistono nel prestare il proprio tempo alla comunità di residenza del condannato svolgendo attività non retribuite, della durata non inferiore a dieci giorni e non superiore ai sei mesi, presso enti territoriali locali o associazioni di volontariato. Nello svolgimento dei lavori di pubblica utilità deve sempre essere tenuto conto delle esigenze professionali e personali del condannato. I lavori di pubblica utilità sostituiscono la pena detentiva e pecuniaria prevista per l’art. 186 del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285 del 1992), in materia di guida in stato di ebbrezza, come modificato dall’art.33 L. 29/07/2010, n.120, tranne nei casi in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia provocato un incidente stradale oppure quando l’imputato abbia già goduto in precedenza di una sostituzione della pena con i LPU. Lo svolgimento positivo dei LPU da parte della persona condannata porta all’estinzione del reato oltre alla riduzione alla metà del periodo di sospensione della patente e alla revoca della confisca del veicolo sequestrato. Se, invece, il condannato non dovesse ottemperare agli obblighi relativi allo svolgimento dei LPU, allora il giudice ha facoltà di revocarli e di ripristinare la pena originaria. I lavori di pubblica utilità sostituiscono anche la pena detentiva e pecuniaria prevista per l’art. 187 del Codice della Strada, in materia di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, come modificato dall’art.33 L. 29/07/2010, n.120. Le norme le medesime di quelle dell’art. 186, comma 9-bis, ma aggiungono l’obbligo, per la persona tossicodipendente, di partecipare ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo come definito ai sensi degli art. 121 e 122 del D.P.R. 09/10/1990, n. 309. L’istituto della messa alla prova (MAP) Introdotta con la legge 28 aprile 2014, n. 67, la messa alla prova è una forma di probation che consiste nella sospensione del procedimento penale durante la fase decisoria di primo grado, si applica su richiesta dell’imputato e può essere concessa per reati di minore allarme sociale, puniti con la reclusione fino a quattro anni. L’imputato viene quindi affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna e dovrà, come nel caso dei lavori di pubblica utilità, prestare attività in modo obbligatoria e gratuita in favore della collettività, per un periodo minimo di dieci giorni e senza superare le 8 ore giornaliere, ricoprendo mansioni in diversi ambiti, fra i quali quello socio-sanitario, della protezione civile, del patrimonio ambientale e culturale, della manutenzione dei servizi pubblici. Oltre agli ambiti di cui sopra, l’imputato ha facoltà di prestare le proprie attività anche nella sfera delle proprie specifiche competenze professionali oppure svolgendo attività riparative, finalizzate cioè a ridurre le conseguenze dannose del reato commesso per mezzo di attività di risarcimento o di mediazione con la vittima. Il programma di messa alla prova può richiedere, ove necessario, l’imposizione di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali. La conclusione positiva del programma di messa alla prova porta all’estinzione del reato, nel caso invece in cui l’imputato non dovesse rispettare i termini del programma, oppure dovesse commettere altro reato durante il corso dello stesso, il giudice revoca il trattamento di messa alla prova e riprende il procedimento penale precedentemente sospeso. La Relazione al Parlamento sull'andamento della messa alla prova riporta un notevole aumento negli ultimi dieci anni dei soggetti in carico agli uffici di esecuzione esterna e una conseguente diminuzione del numero dei detenuti. A livello nazionale infatti si è passati da 34.931 nel 2020 a 48.008 nel 2021, per un incremento del 37%. Dati che permettono quindi di dare una risposta positiva alle problematiche del sovraffollamento carcerario e della funzione rieducativa della pena. Disposizioni regionali La regione Emilia Romagna si è da sempre mostrata sensibile sul tema della tutela delle persone sottoposte a misure privative e limitative della libertà personale cercando di agire parallelamente su due fronti: da una parte quello formativo, stanziando fondi in progetti destinati a promuovere e a garantire il diritto al conseguimento di elevati gradi di istruzione, proprio per lavorare in questa direzione è stata dunque disposta la Legge regionale 15/2007 - Intervento regionale a carattere sperimentale, rivolto alle persone detenute presso la Casa Circondariale di Bologna per favorire e promuovere l'accesso all'Università. Altre disposizioni invece si sono poste lo scopo precipuo di incentivare progetti di avviamento o reinserimento nel mondo del lavoro, è questo il caso della Legge regionale 3/2008, Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Emilia-Romagna, ove si dispone un coordinamento fra enti amministrativi territoriali e servizi locali volto a incentivare e promuovere l'avviamento al lavoro di persone sottoposte a misure privative e limitative della libertà personale. L’attenzione della Regione verso il reinserimento in società continua negli anni, nel 2014 il Protocollo operativo integrativo del Protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Emilia-Romagna per l’attuazione di misure volte all’umanizzazione della pena e al reinserimento sociale delle persone detenute. Il Protocollo in oggetti in particolare si esprime, all’Art. 7, in merito al sostegno alle misure alternative alla detenzione, sottolineando l’importanza del pieno coinvolgimento della comunità nel senso ampiamento inteso come insieme di istituzioni locali e della società civile, nel dare concreta possibilità di attuazione alle misure stesse al fine di un reale recupero del soggetto e di giungere ad una effettiva diminuzione del rischio di recidiva. Ancora, la Legge regionale 30 luglio 2015, n. 14 - Disciplina a sostegno dell'inserimento lavorativo e dell'inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità, attraverso l'integrazione tra i servizi pubblici del lavoro, sociali e sanitari, approvata dalla regione Emilia Romagna nel 2015, costituisce un ulteriore passo nella direzione dell’inclusione nei servizi territoriali e dell’inserimento sociale di soggetti in condizioni di fragilità, con il duplice scopo di favorirne l’inserimento nel tessuto lavorativo, sociale e sanitario e quello di scongiurare discriminazione sociale ed esclusione lavorativa. Fra i destinatari rientrano senz’altro persone che si trovano in esecuzione penale, per le quali la Regione ha programmato: progetti incentrati sul reinserimento nel mondo del lavoro, rivolti agli adulti detenuti che godono di misure alternative alla pena detentiva; progetti incentrati sulla formazione e su percorsi di inserimento professionale, rivolti minori e giovani sottoposti a procedimento penale. La Regione ha quindi avviato due piani sperimentali per gli anni 2016/2018, basati sulla collaborazione e il coinvolgimento fra autorità giudiziaria, amministrazioni competenti per l’esecuzione penale, servizi territoriali lavorativi, sociali, formativi, associazioni di volontariato oltre che mondo imprenditoriale. In particolare, gli interventi rivolti agli adulti detenuti che godono di misure alternative alla pena detentiva sono finalizzati in primo luogo a favorire il reinserimento lavorativo, lavorando sull’acquisizione di competenze e di autonomia. I destinatari del progetto sono quindi le persone sottoposte a provvedimenti di limitazione o restrizione della libertà individuale dell'Autorità giudiziaria, tra cui i detenuti negli Istituti dell’Emilia-Romagna e le persone che godono di misure alternative alla pena detentiva in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna della Regione. I progetti sono hanno previsto diverse attività, fra le quali: informazione e consulenze individuali di orientamento al lavoro; corsi di formazione di base e di acquisizione di competenze tecniche e qualifiche professionali di base; tirocini. IL REINSERIMENTO SOCIALE DEL DETENUTO: UNO SGUARDO ALLO SCENARIO BOLOGNESE Secondo i dati riportati dall’Associazione Ristretti relativi all’utenza degli Uffici di esecuzione penale esterna, con riferimento ai soggetti in carico alla data del 15 maggio 2022, dei 73.203 soggetti in totale in carico per misure, 9.179 sono relativi a sanzioni di comunità, di cui dei quali 623 lavori di pubblica utilità (12,5%) per violazioni della legge sugli stupefacenti e 8.556 lavori di pubblica utilità per violazioni del codice della strada; mentre 25.255 rientrano nella Misura di comunità della Messa alla prova (34,5%). La città di Bologna rappresenta uno scenario in linea rispetto a quanto disposto dalla normativa in materia di reinserimento sociale. Sono numerosi infatti i progetti che la città metropolitana ha avviato finalizzati al reinserimento sociale, di seguito se ne propongono alcuni. Non si tratta solo di opportunità lavorative, ma di progetti che creano un collegamento fra l’universo carcerario e il mondo esterno. Una volta fuori dal mondo carcere l’impatto con la realtà esterna è forte: spesso gli ex detenuti portano il peso di uno stigma, il vuoto di una rete sociale, familiare e amicale assente o, comunque, gravemente compromessa, oltre alla difficoltà di trovare una giusta collocazione abitativa. In questa fase delicata l’inserimento lavorativo costituisce un notevole aiuto, specie se già avviato prima dell’uscita dal carcere, andando ad incidere in modo positivo anche sul tasso di recidiva. Il Progetto Dimittendi Il progetto, nato nel 2014 da Asp Città di Bologna su mandato comunale, è rivolto ai detenuti prossimi a terminare la propria pena nel carcere Dozza, i cosiddetti “dimittendi”, volto a creare un ponte fra il mondo carcerario e il rientro in società. Figure professionali qualificate, fra le quali assistenti sociali ed educatori, ascoltano le aspettative e i desideri dei dimittendi cercando di assisterli nella creazione di un profilo personalizzato utile per il futuro reinserimento sociale, cercando di agevolare il contatto fra la persona e i servizi territoriali e continuando a seguirli nel percorso nei sei mesi successivi alla scarcerazione. Progetto FID - Fare impresa in Dozza Risponde pienamente al principio rieducativo del carcere evocato dalla nostra Carta Costituzionale il progetto FID – Fare Impresa in Dozza, avviato nel 2012 dalla casa circondariale bolognese con lo scopo di offrire una concreta misura alternativa alla reclusione attraverso l’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Si è quindi costituita la “Fid srl”, un’impresa sociale che ha coinvolto quattro delle imprese più importanti sul territorio bolognese nel settore delle macchine automatiche nella produzione di packaging: Marchesini Group, GD spa, Ima e Faac. I detenuti che hanno aderito al progetto hanno acquisito competenze tecniche partecipando ad attività laboratoriali e di formazione che li hanno impegnati in lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici, creando così le competenze specifiche utili per trovare un lavoro. Questa esperienza ha avuto inoltre un risvolto positivo nelle competenze relazionali, abituando al lavoro di gruppo, restituendo al tempo stesso ai soggetti coinvolti la prospettiva di costruire una nuova vita oltre le mura carcerarie. Dall’inizio del progetto sono state coinvolte circa 50 persone, con una diminuzione significativa del tasso di recidiva. note 1 https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1660947746_relazione-al-parlamento-sullandamento-della-messa-alla-prova-nel-2021.pdf 2 https://www.comune.bologna.it/servizi-informazioni/detenuti/interventi-favore-detenuti-ex-detenuti 3 protocollo integrativo carceri.pdf 4 https://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/inclusione/inclusione-carcere 5 https://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/inclusione/inclusione-carcere/misure-adulti 6 Tabelle e grafici sono stati reperiti alla pagina dell’Associazione “Ristretti” al seguente link http://www.ristretti.it/commenti/2022/giugno/pdf/detenuti_maggio.pdf 7 https://www.aspbologna.it/inclusione-sociale/servizi-erogati/inclusione-sociale/servizio-sbs-cosa-si-intende-per-progetto-dimittendi-e-come-funziona per saperne di più Bibliografia​ Beccaria C., "Dei delitti e delle pene", 1764; Fanci G., La retorica della pena: quando le coincidenze fanno riflettere", in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, Vol. XIII - N.1 - Gennaio-Aprile 2019; Fassone E., "Fine pena: ora", Sellerio editore, Palermo, 2015; Sette R., "Detenuti e prigioni. Sofferenze amplificate e dinamiche di rapporti interpersonali", Franco Angeli, Milano, 2017 Sitografia https://www.antigone.it/ https://www.chiusifuori.it/ https://www.normattiva.it/ https://ristretti.org/ http://www.vittimologia.it/ articoli https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/cronaca/22_agosto_28/bologna-dozza-rinascita-chiusi-fuori-l-associazione-ex-detenuti-a1c87394-26d7-11ed-9e7c-94639f771698.shtml https://bologna.repubblica.it/cronaca/2023/07/26/news/dal_carcere_allofficina_di_riparazione_biciclette_a_bologna_la_storia_di_gianfranco_marcelli-409060436/?ref=fbplbo https://bologna.repubblica.it/cronaca/2023/07/27/news/ordine_avvocati_dozza_carcere_situazione_allarmante-409193207/amp/ Contatti Hai bisogno di ulteriori informazioni o di metterti in contatto con noi? Qui sotto trovi tutti i nostri recapiti, ti risponderemo quanto prima. associazionechiusifuori@gmail.com Via San Leonardo 4, 40126, Bologna